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Lo screening del tumore del colon: un esame che salva la vita

Sanità Sicilia

Lo screening del tumore del colon: un esame che salva la vita

In Italia lo screening viene eseguito attraverso il test del sangue occulto nelle feci, ripetuto ogni 2 anni nelle persone tra i 50 e i 69 anni.  Si tratta di un esame semplice, gratuito e non invasivo. 

Redazione

22 Aprile 2024 21:00

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Il carcinoma del colon-retto rappresenta un problema di sanità pubblica in tutto il mondo, costituendo il terzo tumore più comune negli uomini, il secondo nelle donne, e il quarto per mortalità.
La probabilità di sviluppare un tumore è maggiore nei paesi industrializzati, negli uomini rispetto alle donne, e aumenta con l'età specialmente dopo i 50 anni.
Attualmente, lo screening rappresenta un'arma di fondamentale importanza nei confronti di questo tumore, dal momento che consente una diagnosi della neoplasia in una fase pre-clinica (ovvero prima dello sviluppo dei sintomi), la diagnosi a stadi precoci e l'applicazione di terapie più efficaci, con una ridotta mortalità da cancro.

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Come ogni screening, anche quello del tumore del colon consiste nell'applicazione di un test a una popolazione di pazienti asintomatici per quella patologia, ma a rischio di svilupparla.
In Italia lo screening viene eseguito attraverso il test del sangue occulto nelle feci, ripetuto ogni 2 anni nelle persone tra i 50 e i 69 anni.  Si tratta di un esame semplice, gratuito e non invasivo. 

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Ad oggi, gli sforzi della ricerca sono orientati ad affinare le performance del test del sangue occulto per migliorare la sua precisione nel singolo paziente. Ad esempio un progetto di ricerca attualmente in fase di sviluppo che vede coinvolta la Gastroenterologia dell'Università Kore di Enna insieme ad altri centri italiani di rilievo nazionale, si prefigge l'obiettivo di valutare l'efficacia del test del sangue occulto insieme ad un test del microbiota intestinale come possibile marker di neoplasia da utilizzare nello screening.

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Altri studi, tra cui uno recente pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, hanno valutato il ruolo del test del DNA su prelievo ematico, come possibile test di screening.
Nonostante le ricerche in corso, attualmente il test di riferimento nello screening del carcinoma del colon rimane il test del sangue occulto nelle feci, la cui eventuale positività prevede l'esecuzione di una colonscopia come esame di secondo livello.
La colonscopia, oltre alla diagnosi, possiede anche un ruolo terapeutico consentendo la rimozione di eventuali lesioni precancerose riscontrate nel corso dell'esame.  

Altri esami di secondo livello, quali la colonscopia virtuale o la videocapsula endoscopica hanno tuttora un ruolo limitato e vengono utilizzati soltanto come alternative per i pazienti che rifiutano di sottoporsi alla colonscopia.
Attualmente, nonostante la sua consolidata efficacia, l'aderenza allo screening del carcinoma del colon-retto non è ottimale, riducendo la potenziale efficacia della campagna nazionale. I dati del 2021 mostrano come su circa 6 milioni e mezzo di Italiani invitati, abbiano aderito solo il 38,7% dei pazienti a livello nazionale, e soltanto il 23.7% al sud. Inoltre, tra i pazienti positivi, soltanto 4 su 5 accettano di eseguire a colonscopia (dati Osservatorio Nazionale Screening 2021). Anche questo dato è allarmante, dal momento che studi scientifici dimostrano chiaramente come i pazienti non aderenti alla colonscopia presentino una mortalità maggiore rispetto ai pazienti che eseguono l'esame.

Questi dati indicano la necessità di massimizzare l'estensione dello screening, soprattutto nel sud Italia, migliorando la consapevolezza della sua efficacia ed incrementando l'adesione dei pazienti al test di primo e secondo livello.
Questo ambizioso obiettivo può essere raggiunto mediante una maggiore informazione della cittadinanza, una maggiore integrazione dei servizi sanitari tra ospedale e territorio e una più stretta cooperazione del personale sanitario che è coinvolto nel programma di screening. In particolare i medici gastroenterologi, i medici di medicina generale, i biologici, gli anatomopatologi e i farmacisti.
Infine, dal momento che l'argomento dello screening e della prevenzione in generale rappresenta anche un problema culturale, è necessario che questo venga introdotto e consolidato nell'educazione scolastica a tutti i livelli sin dalle età più precoci.


Prof. Marcello Maida
Professore associato di Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina e Chirurgia
Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Enna "Kore"
Membro del Consiglio direttivo nazionale della Società italiana di Gastroenterologia (Sige)

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