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La formazione dell'identità e della personalità è un processo fondamentalmente relazionale

Salute e benessere

La formazione dell'identità e della personalità è un processo fondamentalmente relazionale

Lo sguardo, il sorriso, il tono della voce, le distanze e la prossemica, la gestualità, rivelano di noi molto di più di quanto le parole non sappiano fare. E spesso le smentiscono

Redazione

28 Luglio 2024 16:00

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di Fiorella Falci
Il benessere personale si nutre anche delle nostre conversazioni. Può sembrare una banalità, ma se pensiamo che la formazione dell'identità e della personalità umana è un processo fondamentalmente relazionale, diventa essenziale la qualità delle nostre interazioni personali, soprattutto quelle mediate dal linguaggio. Tutti i tipi di linguaggio.
È risaputo che nella comunicazione umana il linguaggio verbale ha un ruolo assolutamente minoritario: indispensabile per trasmettere le informazioni, ma surclassato dai linguaggi non verbali per quanto riguarda la comunicazione autentica di emozioni, stati d'animo, empatia, indifferenza o ostilità. 
Lo sguardo, il sorriso, il tono della voce, le distanze e la prossemica, la gestualità, rivelano di noi molto di più di quanto le parole non sappiano fare. E spesso le smentiscono.

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Eliminare dalla comunicazione tutte queste componenti caratterizzanti, la impoverisce irreparabilmente, con il risultato di de-umanizzare la qualità delle nostre relazioni e ridurre la nostra relazionalità ad una dimensione robotica.
Oggi gran parte delle nostre comunicazioni passa dalla mediazione dei "dispositivi" digitali, che mettono a nostra disposizione essenzialmente parole (di numero sempre più ridotto e spesso reimpostate dalla scrittura automatica) e tutt'al più emoticon a commentare e connotare emotivamente il contenuto che trasmettiamo.

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Una parola, la stessa parola, può essere una carezza o una frustata, dipende dal contesto relazionale in cui viene scambiata e dalle reazioni in progress che si ri-definiscono ad ogni battuta tra gli interlocutori. Ben altro è rappresentato dal chattare, anche velocissimo e forsennato, attraverso un dispositivo in cui l'unica variabile è l'uso del maiuscolo totale per sostituire l'urlo o l'imprecazione, o qualche faccina per addolcire, secondo un format standardizzato.
Se ne incontrano anche al ristorante, di coppie che, allo stesso tavolo, conversano chattando, senza guardarsi in faccia o, non sia mai, negli occhi

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In questo modo il processo di de-umanizzazione delle nostre relazioni procede e si accelera, e viene a mancare, sempre più drammaticamente anche se spesso impercettibilmente, la qualità emozionale dei processi comunicativi e l'autenticità della nostra identificazione con i contenuti che trasmettiamo, facendo scolorire fino a far scomparire gli elementi identificativi della nostra personalità.
Stiamo tornando alla preistoria proprio nell'epoca ipertecnologica della contemporaneità.

Tanti individui senza volto si sostituiscono progressivamente ai soggetti umani, unici e irripetibili proprio in quanto tali; e in quanto tali responsabili della propria identità e dei significati complessi che può comunicare.
Rifugiarsi nell'invisibilità connotativa, rinunciando ad esprimere o a fare trapelare emozioni, opinioni o concetti che vanno oltre il significato letterale delle singole parole, diventa il sintomo di una difficoltà patologica ad assumere pienamente la gestione della propria complessità, anche emozionale e psicologica, corazzandosi dentro un anonimato digitale che forse rassicura il nostro senso di inadeguatezza, ma sicuramente inaridisce la qualità della nostra comunicazione e quindi del nostro benessere relazionale.

Incontrarsi e conversare di persona, anche litigare se accade, mette alla prova in maniera molto più raffinata le nostre dinamiche di espressione e di autocontrollo, la nostra capacità di auto-dominio e di gestione delle relazioni e dei conflitti. Capacità che è alla base di ogni esistenza pienamente responsabile e anche di ogni società non violenta e autenticamente democratica.

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