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Impariamo a mangiare dai Paesi non industrializzati per dimagrire e ridurre le malattie croniche

Salute e benessere

Impariamo a mangiare dai Paesi non industrializzati per dimagrire e ridurre le malattie croniche

Una dieta che imita quella delle società ancora non industrializzate riduce i livelli di infiammazione, colesterolo cattivo, peso corporeo e glicemia

Redazione

16 Febbraio 2025 12:00

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Un ragionato "ritorno al passato" nel modo in cui ci alimentiamo potrebbe proteggerci da molte patologie croniche, come diabete, obesità e problemi cardiovascolari. Una nuova dieta ispirata a quella di popolazioni di contesti ancora non industrializzati e descritta sulla rivista Cell ha portato, in sole tre settimane di applicazione in uno studio controllato, cambiamenti metabolici e immunologici che potrebbero prevenire molte malattie che sono esplose con l'avvento e la diffusione dei cibi ultraprocessati (cioè lavorati fino a snaturare le caratteristiche delle materie prime di base, con il solo scopo di risultare più piacevoli al palato).

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Molto cibo, pochi nutrienti. Gli alimenti delle società industrializzate, molto lavorati, ricchi di additivi alimentari e poveri di fibre, hanno favorito il sovraconsumo di cibo e completamente alterato il microbioma intestinale, cioè la totalità del patrimonio genetico posseduto dal microbiota: questo è l'insieme di microrganismi che abitano il nostro tratto digerente e che hanno un ruolo chiave nel determinare il nostro stato di salute, influenzando digestione, metabolismo e sistema immunitario.

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Che cosa si mangia? La nuova dieta, messa a punto da James Walter, Professore di Ecologia, Cibo e Microbioma all'University College Cork e presso l'istituto di ricerca APC Microbiome Ireland, si ispira a quella di alcune popolazioni non ancora raggiunte dall'industrializzazione della Papua Nuova Guinea e consiste in una base di ortaggi, legumi e altri alimenti integrali di origine vegetale, più una piccola porzione giornaliera di proteine (salmone, pollo o maiale). 
Non contempla latticini, manzo o frumento (semplicemente perché non sono alimenti presenti sulle tavole dei papuani) e ha un contenuto bassissimo di cibi ultraprocessati ricchi di zuccheri e grassi saturi. Prevede inoltre un apporto di fibre di 22 grammi ogni mille kilocalorie, superiore a quello delle linee guida attuali (13-17 grammi ogni 1000 kcal).

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Una prova ben riuscita. Walter e colleghi hanno sottoposto il regime alimentare, chiamato NiMeTM (Non-industrialized Microbiome Restore) a un gruppo di partecipanti canadesi, che hanno anche ricevuto un'integrazione a base del batterio L. reuteri, un microrganismo benefico per la flora intestinale che è diffuso nelle persone della Papua, ma che di rado si ritrova nell'intestino di chi segue una dieta "industrializzata". 
Tre settimane della nuova dieta hanno promosso una perdita di peso nei partecipanti, diminuito il livello di colesterolo del 17%, ridotto la glicemia del 6% e abbassato la concentrazione di proteina C-reattiva (un marcatore di infiammazione e malattie cardiache) del 14%.

Batteri (e umani) più in forma. Questo tipo di alimentazione ha inoltre migliorato la composizione dei batteri intestinali, favorendo la sopravvivenza del L. reuteri e apportando altre modifiche importanti, come la riduzione dei batteri dall'azione infiammatoria e dei geni batterici che degradano lo strato di muco che protegge l'intestino.
Cambiamenti che sono risultati collegati a un miglioramento di molti marcatori del rischio di malattie cardiometaboliche.

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