Salute e benessere
Cinema e benessere: conoscere l'indicibile
Al cinema si può partecipare insieme ad altri ad una rivoluzione, conoscere i grandi personaggi della storia, condividere una mission impossible che mai potremmo vivere davvero, essere trasportati in tutte le parti del mondo e dell'universo e poi tornare a casa dopo due ore
Il cinema è stato sin dalla sua nascita un'esperienza popolare, di massa, artistica e terapeutica insieme, che ha soppiantato le altre espressioni più tradizionali nella formazione dell'immaginario collettivo, quel patrimonio comune di immagini, esperienze, emozioni, valori condivisi, che costruisce le identità e gli equilibri sociali, le coordinate dell'identificazione dei soggetti nelle culture di riferimento. Nel bene e nel male.
Le cattedrali gotiche, le opere di Michelangelo, Leonardo, Raffaello, la grande letteratura europea e americana, solo per fare alcuni esempi, hanno nutrito la mente e il cuore di chi ne ha vissuto l'esperienza, connotando le nostre civiltà, nella parte del mondo in cui viviamo, così come negli altri continenti altre espressioni e altri stili dell'arte. Ma erano sempre esperienze limitate nella fruizione dallo spazio in cui erano realizzate, o, nel caso della letteratura, dai limiti culturali e linguistici dei lettori. Hanno influito grandemente nella formazione delle identità collettive, ma prevalentemente ai piani alti della società, a livello di quelle classi dirigenti che avevano gli strumenti per accedere e comprendere.
Il XX secolo è stato invece l'epoca della società di massa e della complessità, nell'economia come nella cultura, e il cinema ne ha rappresentato l'espressione artistica più coerente ed efficace, adatta a rappresentare la complessità nel suo mettere insieme arte visiva, musica, letteratura, prossemica, linee di pensiero ed eventi della storia. Il cinema è in grado di raggiungere tutti i target di pubblico possibile, con opere di genere diverso, alcune non sempre di livello artistico notevole, ma tutte enormemente pervasive almeno per due motivi: la potenza comunicativa dell'immagine in movimento per costruire la narrazione, e l'immersione, nel buio della sala cinematografica, all'interno della narrazione filmica, grazie anche alla dimensione predominante dello schermo rispetto alla persona/spettatore.
Infatti un film visto da uno schermo televisivo, che non supera mai le dimensioni della persona, non è lo stesso film che possiamo vedere in sala, non ha lo stesso impatto emotivo, non c'è il rapporto individuale-collettivo, insieme agli altri spettatori e contemporaneamente isolati dal buio che ci avvolge e ci cattura in una dimensione esclusiva, senza interruzioni e intrusioni della vita quotidiana nella narrazione. La sala cinematografica diventa così anche un luogo di sostegno emotivo e coesione sociale. Al cinema si può partecipare insieme ad altri ad una rivoluzione, conoscere i grandi personaggi della storia, condividere una mission impossible che mai potremmo vivere davvero, essere trasportati in tutte le parti del mondo e dell'universo e poi tornare a casa dopo due ore. Con gli occhi pieni e pensieri nuovi, connessioni inedite tra mondi sconosciuti e la nostra quotidianità.
Dal cinema abbiamo compreso i meccanismi della psicoanalisi ("Io ti salverò" di Hitchcok), l'abisso contraddittorio della follia ("Qualcuno volò sul nido del cuculo", "Shining"), l'universo della disabilità ("Mi chiamo Sam") e gli esempi potrebbero continuare. Senza questi film saremmo soli di fronte a realtà sconosciute con le uniche reazioni possibili della paura o della fuga e del rifiuto.
Il cinema costruisce comunità, sul piano locale e soprattutto globale, superando, con il doppiaggio, il limite linguistico della comunicazione, rappresentando valori universali e diffondendoli con una forza emotiva che nessun altro medium può vantare.
Costruisce coesione sociale quando attiva discussioni, interpretazioni, condivisione di emozioni, critiche, ricerca di senso. Questa connessione sociale è essenziale per il benessere mentale, costruisce sostegno emotivo, consolida legami significativi e abbassa le barriere dell'isolamento, sempre più elevate dalle esperienze solitarie sui nostri dispositivi. Da questo punto di vista la diffusione dei canali streaming-on-demand che invadono i nostri teleschermi sta impoverendo pericolosamente la qualità dell'esperienza cinematografica, riducendola ad un consumo di storie, vissute come occasioni di semplice evasione, quasi come uno spot all'interno della nostra quotidianità casalinga.
Lo spettacolo cinematografico invece ripropone il meccanismo terapeutico della tragedia greca: immedesimazione nella situazione, identificazione con i personaggi, contemplazione dell'impossibile o dell'indicibile, accumulazione delle emozioni, catarsi/liberazione finale. Il meccanismo della catarsi come purificazione da una contaminazione, di cui Aristotele aveva esaltato le qualità terapeutiche, libera lo spettatore dai conflitti interiori o dai traumi che la narrazione filmica ha fatto affiorare, libera dalle passioni intollerabili, funziona come una medicina omeopatica, inducendo quote di stress temperate dalla sicurezza della finzione, liberandone poi la tossicità emotiva con la conclusione del film in cui i nodi drammatici si sciolgono alla comprensione razionale.
Attraverso la contemplazione del dolore rappresentato nel film (così come avveniva nella tragedia classica) si attivano la conoscenza e la comprensione, di se stessi e delle dinamiche dell'esistenza collettiva, così come con lo spettacolo di pura evasione, dalla commedia brillante ai più modesti cine-panettoni e simili, attiva una sospensione temporanea dei livelli di stress che possono disintossicare dalle pressioni con cui una quotidianità affannosa compromette il nostro equilibrio psico-fisico.
Fondamentale però diventa la consapevolezza con cui ci immergiamo nell'esperienza filmica, nella capacità di lettura e decodificazione del linguaggio visivo e delle sue simbologie, nell'affinamento della analisi delle situazioni rappresentate rispetto a quelle vissute da ciascuno spettatore. Guardando uno spettacolo è più facile mettere in discussione se stessi, perché il meccanismo è indiretto, più rassicurante e con la valvola di sicurezza della possibilità di interrompere uno stress emotivo che diventi intollerabile. Ma non avviene quasi mai. Nella mia lunga esistenza mi è successo soltanto due volte.
Fiorella Falci