Nel precedente articolo abbiamo parlato di Malattia Celiaca (o Celiachia) definendola come una enteropatia autoimmune permanente legata alla ingestione del glutine caratterizzata da una predisposizione genetica che può essere identificata con assoluta sicurezza attraverso la ricerca sierologica e la biopsia della mucosa duodenale in corso di gastroduodenoscopia.
La sensibilità al glutine (gluten sensitivity) è una condizione patologica molto recente di cui si parla solo da pochi anni. Fino a vent’anni fa erano pazienti considerati dei malati immaginari, perché lamentavano sintomi a cui nessuno specialista era in grado di fornire una spiegazione.Numeri ufficiali non ce ne sono, ma secondo gli esperti questa condizione sarebbe ben più diffusa della celiachia e riguarderebbe da vicino fino a tre milioni di italiani. Diverse le ipotesi formulate circa i suoi possibili fattori scatenanti. In queste persone il contatto tra alimenti farinacei (a base di frumento, orzo, segale, malto) e la mucosa intestinale scatenerebbe una risposta immunitaria acuta. Da qui la comparsa del gonfiore addominale, della diarrea, della fatica e della difficoltà a concentrarsi dopo un pasto a base di un primo, di un panino o di una pizza.
La ricerca è stata condotta confrontando le molecole contenute all’interno dei prelievi sierici ottenuti da 40 pazienti celiaci, da altri che lamentavano sintomi simili ma senza mostrare i segni della malattia (80) e persone sane (40). È emerso che le persone che avevano una condizione riconducibile alla gluten sensitivity presentavano valori dei marcatori di danno alle cellule intestinali ben più elevati rispetto a quelli misurati nei celiaci. I ricercatori sono giunti a ipotizzare che una simile risposta immunitaria nelle persone (probabilmente) sensibili al glutine sarebbe la conseguenza di una mucosa intestinale meno selettiva rispetto alla norma, che assicurerebbe una maggiore permeabilità tanto ai nutrienti quanto ai batteri: da qui l’aumento della risposta immunitaria. A supportare l’ipotesi sono stati poi i risultati ottenuti dopo aver messo sottoposto queste persone a una dieta di sei mesi priva dell’apporto dei cereali «sospetti». Al termine del periodo di osservazione, i livelli della risposta immunitaria risultavano normalizzati. Di pari passo s’erano ridotti i sintomi, come riportato dai pazienti attraverso dei questionari.
Resta però ancora da capire se a scatenare la risposta sia il glutine o altre piccole Leggi l'articolo completo su QuotidianoBenessere.it