Protesi di gomito in un paziente di 46 anni proveniente da Cosenza che decide di sottoporsi al delicato intervento all'ospedale Sant'Elia di Caltanissetta, eseguita dal direttore del reparto Ortopedia e traumatologia Massimo Siracusa. L'uomo, che dopo una frattura scomposta, aveva subito due interventi non risolutivi al nosocomio della città calabrese, decide effettuare un viaggio delle speranza per risolvere i gravissimi problemi al braccio sinistro con l'inserimento di una protesi di gomito e sostituzione della superficie articolare danneggiata. Abbiamo intervistato il Siracusa e gli abbiamo chiesto di spiegarci di quale tipo di intervento si sia trattato, la gravità del caso, la procedura seguita e le possibilità che il 46enne abbia di riprendere una vita normale.
Dottore Siracusa, quale situazione le si è presentata tanto da farle decidere che fosse necessario un intervento di protesi di gomito?
"Innanzitutto preciso che è un intervento particolare che decidiamo di effettuare solo in casi eccezionali che riguardano patologie del gomito traumatiche o degenerative di grado avanzato. Il paziente ha riportato un trauma complesso che era già stato trattato chirurgicamente per rimettere a posto i frammenti della frattura ma con scarsi risultati dal punto di vista funzionale e neurologico.
Il gomito, è una parte anatomica dove passano un serie di nervi che, se incarcerati, provocano grave sofferenza dei movimenti a valle, cioè a livello della mano. Abbiamo preso in carico il paziente con l'obiettivo di ripristinarne la funzione mettendo in atto una chirurgia di salvataggio. Il gomito si presentava bloccato, dolente e con una forma alterata rispetto alla morfologia anatomica e con un deficit neurologico che coinvolgeva la mano".
Come è intervenuto?
"L'intervento ha visto due momenti diversi, è durato più di tre ore, con una sessione dedicata alla parte neurologica e una ortopedica. Le complicanze del tipo di frattura e della sua evoluzione, il tempo neurologico e la lisi delle aderenze articolari hanno richiesto un tempo più lungo rispetto a un intervento standard. Abbiamo dovuto, infatti, liberare tutta l'articolazione dalle aderenze che si erano formate e rimuovere anche dei mezzi di sintesi che erano stati posizionati e 'liberare' il nervo che era stato incarcerato. Questa fase ha richiesto un'ora di lavoro attento e certosino per recuperarlo essendo questo molto compremesso e in sofferenza.
Successivamente ci siamo dedicati a ripristinare la morfologia ossea. Ci siamo resi conto che il paziente non avrebbe avuto modo, con la situazione che ci si è presentata, di riacquistare il movimento e condurre una vita normale. Abbiamo, quindi, valutato l'impianto della protesi e abbiamo deciso per questa".
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