Le tecniche di riproduzione assistita non aumentano il rischio cardiovascolare. È questo il risultato di un’analisi pubblicata sull’European Heart Journal a firma di Giulio Stefanini, cardiologo responsabile della Ricerca Clinica del Cardio Center di Humanitas – diretto dal prof. Gianluigi Condorelli – e di Nicoletta Di Simone, ginecologa responsabile del Centro Multidisciplinare di Patologia della Gravidanza di Humanitas San Pio X, entrambi professori di Humanitas University.
La meta-analisi – che consiste nel combinare statisticamente i risultati di più studi clinici indipendenti in modo rigoroso, per trarre conclusioni più affidabili – ha preso in considerazione dieci studi (selezionati tra più di 7000 condotti sul tema) e ha incluso complessivamente oltre 500.000 donne che si sono avvalse di tecniche di procreazione assistita, con oltre 36 milioni di donne non trattate come gruppo di controllo.
«I risultati ottenuti sono rassicuranti – commenta il prof. Giulio Stefanini –: non è stata riscontrata alcuna evidenza significativa che l’uso della PMA aumenti il rischio di eventi cardiovascolari gravi, cioè di infarti, ictus o tromboembolie, nei 10 anni di follow-up inclusi negli studi. Non solo, ma il tasso di rischio di disturbi cardiovascolari, anche non acuti, tende a diminuire con il passare del tempo, fino a stabilizzarsi a livelli simili a quelli delle donne non trattate. Questi risultati sono importanti per le donne che ricorrono alle tecniche di riproduzione assistita e per i professionisti sanitari, poiché suggeriscono la necessità di monitorare la salute cardiovascolare delle pazienti soprattutto nei primi anni dopo il trattamento».
Le tecniche di riproduzione assistita, come la fecondazione in vitro e l’inseminazione intrauterina, sono responsabili di circa...